Quando le mansioni sono incompatibili con la disabilita'

È certamente degna di nota una recente Sentenza della Corte di Cassazione che, smentendo i due gradi di giudizio precedenti, ha stabilito che le assenze per malattia collegate allo stato di invalidità non possano essere incluse nel cosiddetto “periodo di comporto” – quello durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro – se la persona con disabilità è stata adibita a mansioni incompatibili con la sua condizione di salute
La Suprema Corte di Cassazione
La Suprema Corte di CassazioneMerita certamente di essere segnalata la recente Sentenza n. 17720, emessa il 29 agosto scorso dalla Corte di Cassazione, secondo la quale, in caso di «rapporto di lavoro con invalidi assunti obbligatoriamente, le assenze per malattie collegate con lo stato di invalidità non possono essere incluse nel periodo di comporto [termine che in diritto del lavoro indica il periodo di tempo durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, nonostante l’esecuzione della prestazione venga sospesa per fatto inerente alla sua persona, N.d.R.], ai fini dell’art. 2110 cod. civ., se l’invalido viene adibito, in violazione di legge, a mansioni incompatibili con le proprie condizioni di salute. In tal caso, infatti, l’impossibilità della prestazione lavorativa deriva dalla violazione dell’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica del dipendente, il quale però ha l’onere di provare gli elementi oggettivi della fattispecie – su cui si fonda la responsabilità contrattuale del datore di lavoro – dimostrando, quindi, l’inadempimento datoriale, il nesso di causalità tra l’inadempimento stesso, il danno alla salute subito e le assenze dal lavoro, che ne conseguono [grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni, N.d.R.]».
Nello specifico del caso trattato dalla Suprema Corte, una lavoratrice con un grado di invalidità pari all’80%, per molteplici infermità, era stata assunta obbligatoriamente, ai sensi della Legge 462/68, e successivamente licenziata per superamento, appunto, del cosiddetto “periodo di comporto” per malattia.
La lavoratrice stessa aveva dunque impugnato il provvedimento presso il Tribunale di Cremona, «per sentirne dichiarare l’inefficacia o l’illegittimità, […] per errato conteggio delle assenze dovuto alla mancata considerazione: a) della incompatibilità delle mansioni affidatele rispetto alle proprie condizioni di salute; b) del conseguente collegamento delle patologie che avevano determinato le assenze dal lavoro con le mansioni svolte».
Il Tribunale di Cremona, previa Consulenza Tecnica d’Ufficio, aveva però respinto il ricorso e la Corte d’Appello di Brescia aveva confermato la sentenza di primo grado, affermando tra l’altro «che l’eventuale sopravvenuta incompatibilità delle mansioni rispetto all’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore non potrebbe mai far sorgere una responsabilità colposa del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., data l’accertata assenza di una richiesta in tal senso da parte del prestatore di lavoro stesso».
A questo punto, però, la Corte di Cassazione ha ritenuto che «sia le assenze derivanti da malattie aventi un collegamento causale diretto con le mansioni svolte dall’invalido, sia le assenze derivanti da malattie rispetto alle quali le mansioni svolte abbiano solo un ruolo di concausa devono essere escluse da quelle utili per la determinazione del periodo di comporto, tenuto conto sia del diritto del lavoratore – tanto più se invalido – di pretendere, sia, correlativamente, dell’obbligo del datore di lavoro di ricercare una collocazione lavorativa idonea a salvaguardare la salute del dipendente nel rispetto dell’organizzazione aziendale in concreto realizzata dall’imprenditore (arg. ex: Cass. 30 dicembre 2009, n. 27845)».
Infine, si legge ancora nel pronunciamento della Suprema Corte, «nel caso di un rapporto di lavoro instaurato con un prestatore invalido, assunto obbligatoriamente a norma della legge 2 aprile 1968 n. 482, il datore di lavoro, che a norma dell’ex art. 2087 cod. civ. deve adottare tutte le misure necessarie per l’adeguata tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, deve in ispecie in osservanza delle disposizioni della detta legge far sì che le mansioni alle quali il lavoratore invalido viene adibito siano compatibili con la sua condizione […]». (S.B.)
Si ringrazia Francesco Diomede per la segnalazione.

Ultimo aggiornamento (martedì 13 settembre 2011 11:40)