Le Sentenze parlano chiaro: conta solo la situazione economica dell'assistito

(di Francesco Trebeschi*)
Dopo le più recenti Sentenze del Consiglio di Stato – senza contare l’ampia giurisprudenza di questi anni proveniente dai Tribunali Amministrativi Regionali – non vi sono più dubbi su un paio di princìpi: che da una parte, nella compartecipazione al costo dei servizi a favore di persone con disabilità grave e anziani non autosufficienti, conta solo la situazione economica dell’assistito, che dall’altra i diritti delle persone con disabilità all’erogazione di servizi costituenti livelli essenziali di assistenza sono incomprimibili e come tali esigibili. Mentre poi il TAR di Milano riconosce il diritto al risarcimento del danno esistenziale, va notato come questa diffusa giurisprudenza indichi ai Comuni con difficoltà di bilancio anche le possibili strade da seguire. Vediamo i vari aspetti di tali questioni, in questa ampia e approfondita analisi
Martelletto del giudice
A dieci anni dalla sua approvazione, la giurisprudenza sembra ormai definitivamente avviata al pieno riconoscimento – con l’immediata precettività dell’articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/98 – del necessario integrale rispetto del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito ai fini della compartecipazione al costo delle prestazioni socio-assistenziali, nell’ambito di percorsi sociosanitari a favore di persone con disabilità grave e anziani non autosufficienti.
1. I tre orientamenti prevalenti
Numerosissime, e per lo più favorevoli alle famiglie, erano state ormai le pronunce dei vari Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) sulla questione e in particolare si poteva ravvisare la formazione di tre orientamenti principali.
Il primo orientamento (1), ampiamente maggioritario, riconosceva il necessario integrale rispetto del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito.
Anche il secondo orientamento (2) riconosceva che la norma deve ritenersi immediatamente precettiva, ancorché, in assenza del decreto attuativo, non in senso assoluto: all’ente erogatore viene riconosciuto un margine di discrezionalità nel declinare il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito in concreto.
Entrambi questi due orientamenti erano per altro concordi nel ritenere che il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito fosse diretta espressione di principi costituzionali (articoli 3, 38, 53 e 117, comma 2, lettera m della Costituzione) e supercostituzionali, con particolare riferimento ai principi di autonomia, indipendenza e non discriminazione delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09 e conseguentemente nell’affermare che la disposizione del citato articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/98 era da ritenere prevalente su eventuali normative regionali difformi.
Il terzo orientamento, infine (3), escludeva l’immediata precettività dell’articolo 3, comma 2 ter del Decreto Legislativo 109/98, degradato a norma di mero indirizzo, non applicabile in assenza del previsto DPCM attuativo [Decreto del Presidente del Consiglio, N.d.R.].
Lo stesso Consiglio di Stato, poi, si era già pronunciato diverse volte sulla questione, ancorché solo in via cautelare, significativamente, per altro, confermando da una parte il primo orientamento – e quindi il necessario rispetto del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito (4) –sconfessando dall’altra l’orientamento sfavorevole (5).
Le recenti decisioni qui di seguito in commento rivestono pertanto grande importanza perché, finalmente, il Consiglio di Stato si è pronunciato con una sentenza sul merito del problema.
2. Sentenza 551/11 del Consiglio di Stato
In particolare con la Sentenza n. 551 del 26 gennaio scorso, il Consiglio di Stato ha confermato la Sentenza n. 1470 (13 luglio 2009), con la quale il TAR di Brescia aveva annullato i regolamenti del Comune di Brescia, che non davano alcuna applicazione al principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, arrivando, addirittura, ad escludere l’agevolazione riconosciuta dalla Tabella 2 del Decreto Legislativo 109/98 alle famiglie con persone con disabilità superiore ai due terzi.
Nonostante però la Sentenza si fosse limitata a confermare un articolato ragionamento del TAR bresciano – che comunque, come si è visto, aveva riconosciuto l’immediata precettività del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assitito ancorché non in senso assoluto, senza cioè spendere una parola per smentire il diverso orientamento espresso dal TAR di Milano – l’estrema sinteticità della pronuncia aveva lasciato un margine di ambiguità.
Infatti, l’ANCI Lombardia (Associazione Nazionale Comuni Italiani), estrapolando dal contesto la sola ultima frase della decisione, aveva cercato di sostenere che con tale pronuncia il Consiglio di Stato si fosse espresso a favore dell’applicazione generalizzata dell’ISEE [Indicatore Situazione Economica Equivalente, N.d.R.]all’intero nucleo familiare anagrafico e della sostanziale inapplicabilità del principio di evidenziazione della situazione econonica del solo assistito (se ne legga cliccando qui).
3. Sentenza 1607/11 del Consiglio di Stato
Ora, però, il Consiglio di Stato – con la Sentenza n. 1607 del 16 marzo scorso -, confermando l’annullamento del regolamento del Comune di Cinisello Balsamo (Milano), disposto dalla Sentenza n. 1487 (14 maggio 2010) del TAR di Milano, fornisce un’ampia e articolata ricostruzione del problema, affermando che «deve ritenersi che il citato art. 3, co. 2-ter, pur demandando in parte la sua attuazione al successivo decreto, abbia introdotto un principio, immediatamente applicabile, costituito dalla evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali. Tale regola non incontra alcun ostacolo per la sua immediata applicabilità e il citato decreto, pur potendo introdurre innovative misure per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, non potrebbe stabilire un principio diverso dalla valutazione della situazione del solo assistito; di conseguenza, anche in attesa dell’adozione del decreto, sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi ad un principio, idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, attendendo proprio ad una facilitazione all’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza [grassetti dell’Autore nella citazione, N.d.R.]».
Significativamente la Sentenza si sofferma anche sugli altri orientamenti espressi dalla giurisprudenza, precisando che: «La tesi che esclude l’immediata applicabilità della norma, in virtù dell’attuazione demandata ad un apposito d.p.c.m., benché sostenuta da questo Consiglio di Stato in sede consultiva (sez. III, n. 569/2009) non appare convincente ed è già stata disattesa dalla Sezione in alcuni precedenti cautelari (sez. V, ord. nn. 3065/09, 4582/09 e 2130/10), che hanno trovato conferma in una recente sentenza (sez. V, sent. n. 551/2011, in cui è affermato che la mancata adozione del d.p.c.m. non può paralizzare l’operatività della norma, salve ulteriori considerazioni legate al caso di specie sulla situazione reddituale complessiva)».
Viene così espressamente smentita la lettura parziale sostenuta dall’ANCI Lombardia, con un’interpretazione autentica della precedente Sentenza del Consiglio di Stato 551/11 che, correttamente, riconduce quest’ultima nell’ambito dell’orientamento più rigoroso.
Viene dunque confermato che la natura di «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale sociali ai sensi dell’art. 117 co. 2 lett. m) della Costituzione, non può essere ridotta alle sole prestazioni sociosanitarie ricomprese nei dd.p.c.m. 14.2.2001 e 29.11.2001 (c.d. LEA), ma deve essere riconosciuta anche alle prestazioni di cui all’art. 22 L. 328/00, e conseguentemente alle modalità di accesso alle stesse, ovvero all’ISEE, cui espressamente rinvia l’art. 25 L. 328/2000 poiché la determinazione dei livelli essenziali da garantire in maniera uniforme non deve necessariamente essere contenuta in provvedimenti legislativi statali successivi alla riforma del titolo V della Costituzione, ma può ricavarsi anche dal complesso della normativa antecedente».
Del resto, il Consiglio di Stato ha fatto propria anche la sussunzione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito da superiori princìpi costituzionali e supercostituzionali, affermando che «correttamente il Tar ha fondato la sua interpretazione, oltre che sul dato letterale della legge, sul quadro costituzionale e sulle norme di derivazione internazionale, facendo particolare riferimento alla legge 3 marzo 2009 n. 18 che ha ratificato la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui “diritti delle persone con disabilità”. La giurisprudenza ha già sottolineato che la Convenzione si basa sulla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile (v. l’art. 3, che impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici). I principi della Convenzione costituiscono, quindi, ulteriore argomento interpretativo in favore della tesi dell’immediata applicabilità del comma 2-ter dell’art. 3 del d. lgs. n. 109/98 e per ritenere manifestamente infondata ogni questione di costituzionalità, che dubiti della compatibilità costituzionale della interpretazione fatta propria dal tar e qui confermata [grassetti redazionali nella citazione, N.d.R.]».
4. Sentenze n. 784 e n. 785 del TAR di Milano (24 marzo 2011)
La medesima lettura della Sentenza del Consiglio di Stato 551/11 è stata ora prospettata anche dal TAR di Milano (Sezione I, Sentenze n. 784 e 785 del 24 marzo 2011), che, nel riconoscere il necessario rispetto del principio di evidenziazione economica della situazione economica del solo assistito, ha significativamente osservato che «la possibilità di individuare eccezioni al parametro della situazione economica del solo assistito non lascia spazio ad un potere regolamentare degli enti locali; non è, quindi, condivisibile la tesi secondo la quale, in assenza del suddetto decreto, la norma in esame consentirebbe l’effettuazione di scelte concrete da parte di questi ultimi in materia di interventi sociali sul territorio, essendo l’ipotizzata potestà priva di base normativa e, comunque, al di fuori del riparto del potere normativo di secondo grado, stabilito dall’art. 117, comma 6, Cost.».
La Sentenza 785/11 assume inoltre grande rilevanza perché ha riconosciuto che l’illegittima mancata erogazione del servizio – nel caso di specie si trattava di un Centro Diurno per Disabili (CDD) – cagioni un danno ingiusto, risarcibile tanto sotto il profilo del danno patrimoniale quanto sotto quello del danno esistenziale.
Quanto al danno patrimoniale subìto dai genitori, il TAR ha evidenziato infatti che «ove i genitori avessero dimostrato che, nel periodo di colpevole ritardo dell’Amministrazione comunale, essi abbiano provveduto direttamente e a proprie spese ad assicurare un servizio equivalente alla figlia minore, i relativi costi avrebbero rappresentato l’ammontare del danno patrimoniale risarcibile in loro favore», mentre in relazione al risarcimento del danno esistenziale subito dalla minore, la Sentenza ha chiarito che «l’area della risarcibilità del cosiddetto danno esistenziale è circoscritta alle ipotesi espressamente previste dalla legge ovvero ai casi di violazione di diritti inviolabili di rango costituzionale, tra i quali può senz’altro farsi rientrare il diritto di una minore, disabile grave, a frequentare un Centro Diurno per Disabili, struttura funzionale nell’ambito della quale può esplicarsi e trovare complessivo sviluppo la sua personalità con positive ricadute sul processo di inserimento nel tessuto sociale».
5. Cosa devono fare i Comuni per reperire le risorse
Pur riconoscendo la prevalenza dei diritti incomprimibili delle persone con disabilità all’erogazione di servizi costituenti livelli essenziali di assistenza, e come tali, esigibili, anche sulle difficoltà di bilancio degli Enti Locali, particolarmente pressanti in questi anni, il TAR di Milano – che già aveva avuto modo di stigmatizzare il comportamento ostruzionistico dei Comuni in sede di Conferenza Stato-Regioni (per TAR Milano, Sez. IV, sent. 10.9.2008, n. 4033, «il procedimento di emanazione del richiesto D.P.C.M. è stato la causa del suo ritardo poiché i Comuni, attraverso i loro enti associativi in sede di Conferenza unificata, hanno fatto resistenza all’approvazione dello schema di decreto predisposto dal Governo poiché ritenuto troppo oneroso») – afferma, con le Sentenze 784/11 e 785/11, che ciò «non sottintende una svalutazione delle difficoltà dei Comuni nel reperimento di fondi sufficienti per far fronte alle legittime richieste di prestazioni socio-sanitarie e socio-assistenziali da parte di coloro che ne abbiano diritto secondo legge» e indica quindi ai Comuni stessi la via da seguire.
«In altri termini – si scrive infatti -, la mancata concertazione fra i vari livelli di governo, in sede di conferenza unificata, che ha provocato e provoca indubbi effetti negativi sulle finanze dei Comuni, se da una parte non può tradursi in misure che incidano negativamente sugli utilizzatori finali che, in quanto soggetti svantaggiati, la legge statale ha inteso proteggere, d’altra parte non può trovare risposta in sede giurisdizionale, ma esclusivamente in quella politica di riparto delle competenze e degli oneri finanziari posti dalla legge direttamente a carico degli enti locali [grassetti redazionali nella citazione, N.d.R.]».
In effetti, la citata nota dell’ANCI Lombardia lamentava che «il Fondo nazionale per le politiche sociali assegnato agli ambiti che nel 2009 ammontava a 518,226 milioni e nel 2010 a 380,22 milioni è stato ridotto a 270 milioni di euro; il Fondo per le politiche è passato da 100 a 52 milioni di euro e non risultano più fondi per l’autosufficienza, che nel 2009 e nel 2010 ammontavano a 400 milioni di euro. Nel complesso, i Comuni dovranno fare fronte a tagli per 1,5 miliardi di euro nel 2011 e 2,5 miliardi dal 2012».
5.1. Corretta ripartizione degli oneri dei servizi sociosanitari
Così accade che una quota significativa degli oneri dei servizi sociosanitari – che pure i DPCM del 14 febbraio 2001 e del 29 novembre 2001 hanno posto a carico del Servizio Sanitario Nazionale – continuino ad essere scaricati sui Comuni.
In Lombardia, in particolare, questo vale soprattutto per i servizi residenziali e semiresidenziali per disabili gravi (che dovrebbero gravare per il 70% sul Servizio Sanitario Nazionale) e per le RSA [Residenze sanitarie Assistenziali, N.d.R.] alle quali il Servizio Sanitario Regionale riconosce molto meno del prescritto 50%, ovvero del costo dei fattori sanitari oltre al 30% dei costi alberghieri.
Né mancano situazioni estreme: come censurato dal TAR di Milano (Sez. III, sent. 20.5.2010 n. 1584), il Sistema Sanitario Regionale Lombardo scarica illegittimamente sui Comuni e sugli utenti persino gli oneri delle prestazioni erogate dalle RSA in favore di persone anziane in stato vegetativo.
5.2. Corretta ripartizione dei servizi di supporto all’istruzione (trasporto e assistente ad personam)
Importanti risorse per i Comuni potrebbero inoltre liberarsi in relazione ai servizi di supporto all’istruzione delle persone con disabilità frequentanti le scuole superiori, che, sebbene per lo più erogati dai Comuni, competono invece alle Province.
Sul punto si pronuncia anche la più volte citata Sentenza 1607/11 del Consiglio di Stato (6), in particolare richiedendo la lettura più estensiva possibile e costituzionalmente orientata dell’articolo 28 della Legge 118/71, che impone ai Comuni l’erogazione gratuita del servizio di trasporto alla scuola dell’obbligo e ai centri di addestramento professionale, oltreché – ai sensi del comma 4 – a tutti gli istituti pre e post- scolastici.
Viene così espressamente sottolineato come «per la Corte costituzionale l’esigenza costituzionale di tutela dei soggetti deboli si concretizza non solo con pratiche di cura e di riabilitazione ma anche con il pieno ed effettivo inserimento dei medesimi anzitutto nella famiglia e, quindi, nel mondo scolastico ed in quello del lavoro, precisando che l’esigenza di socializzazione può essere attuata solo rendendo doverose le misure di integrazione e di sostegno a loro favore. L’applicazione di tali principi ha così consentito il riconoscimento in capo ai portatori di handicap di diritti e di provvidenze economiche, la cui mancata previsione normativa si è reputata non conforme a Costituzione, risolvendosi in un inammissibile impedimento all’effettività dell’assistenza e dell’integrazione» (7).
Ne consegue la necessaria gratuità del servizio di trasporto alle scuole di ogni ordine e grado e ai centri di addestramento professionale, tra i quali – nell’ottica della suddetta lettura estensiva dell’articolo 28 della Legge 118/71 – si dovrebbero con ogni evidenza includere centri quali SFA, CSE e CDD [Servizi Formazione all’Autonomia; Centri Socio Educativi; Centri Diurni per Disabili, N.d.R.], servizi per lo più nati dopo il 1971, quali nuove alternative alle scuole superiori o ai centri di addestramento professionali.
Così inquadrato, dunque, il capo della Sentenza che ammette la possibilità di ridurre agevolazioni tariffarie del servizio di trasporto in ragione dell’indennità di accompagnamento è da ritenersi limitato a servizi di trasporto diversi da quelli alle scuole e ai centri suddetti.
Su tale punto, per altro, ci si permette di dissentire, posto che l’indennità di accompagnamento è riconosciuta non solo a causa dell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, ma anche e soprattutto per l’incapacità a compiere gli atti quotidiani della vita: in quest’ottica l’accompagnatore è necessario, non solo per il trasporto, ma per garantire un’assistenza continuativa 24 ore su 24.
6. L’indennità di accompagnamento non esprime alcuna capacità economica del percettore
Infine, fatto molto importante, per la Sentenza del 1607/11 del Consiglio di Stato va «condivisa l’affermazione del Tar sul fatto che l’indennità di accompagnamento non esprime alcuna capacità economica del percettore».
Si conferma quindi quanto già evidenziato dal TAR di Milano (Sez. III, sent. 14.5.2010 n. 1487; Sez. I sent. 8.2.2008 n. 303) e dal TAR di Brescia (sent. 2.4.2008 n. 350), ovvero che è da escludere la possibilità di computare i redditi esenti anche solo quali criteri ulteriori di selezione dei beneficiari, perché i predetti “criteri ulteriori” debbono correttamente intendersi come «criteri aggiuntivi che prescindono dalla valutazione del reddito, già puntualmente disciplinato nella sua composizione» (TAR Lombardia Milano, sez. I, sent. 7.2.2008 n. 303).
Qui, accanto all’argomento letterale – ammettendo cioè il legislatore parametri “ulteriori” e dunque distinti da quelli già previsti – sotto il profilo logico sussisterebbe una contraddizione se la norma consentisse di reinserire il criterio del reddito, laddove esso risulta già specificamente compreso e analiticamente disciplinato nell’ISEE.
Sotto un altro punto di vista, poi, è ragionevole ritenere che gli Enti Locali possano enucleare nuovi indici idonei a rivelare un “surplus” di ricchezza accumulata e disponibile, della quale tenere conto ai fini della determinazione della capacità contributiva: esulano certamente da tale ambito le entrate di cui si discute – di natura assistenziale e indennitaria – le quali non appaiono suscettibili di incrementare significativamente il benessere economico dei beneficiari, per il loro valore complessivamente modesto in rapporto agli sforzi indispensabili per sopperire alle condizioni psicofisiche precarie del proprio congiunto, destinatario di cure e di interventi che contemplano spese talvolta superiori ai redditi medesimi.
In effetti, pensione di invalidità e indennità di accompagnamento costituiscono quei “mezzi necessari per vivere” che lo Stato, in attuazione dell’articolo 38 della Costituzione, provvede ad ogni Cittadino inabile al lavoro. La pensione di invalidità, ad esempio, ammonta a circa 250 euro mensili e nonostante l’assoluta insufficienza, dovrebbe compensare l’impossibilità del beneficiario di mantenersi con il proprio lavoro: con questa somma, cioè, la persona disabile dovrebbe riuscire a mangiare vestirsi, pagare l’alloggio e il riscaldamento, le spese mediche – con particolare riguardo a quelle, spesso ingenti, specialistiche – e comunque ad ogni altra spesa relativa al mantenimento, ai sensi e per gli effetti di cui al citato articolo 38 della Costituzione.
L’indennità di accompagnamento, invece (poco meno di 490 euro) viene concessa, come da articolo 1 della Legge 18/80, «a causa del bisogno di assistenza continua per l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita, per favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza», e come tale dovrebbe coprire i costi derivanti dalla necessità di assistenza 24 ore su 24, 365 giorni all’anno: normalmente coincide con la rinuncia allo stipendio o alla carriera della madre della persona con disabilità, certo non consente il pagamento di una badante. Come ha autorevolmente precisato la Corte Costituzionale (22-29.4.1991), è «tuttavia soltanto un aiuto, insufficiente a garantire la completa assistenza del disabile».
Viste dunque le finalità e l’acclarata insufficienza di tali benefici, è evidente la ratio della loro esclusione ai fini della compartecipazione ai costi dei servizi socioassistenziali. Lo stesso articolo 53 della Costituzione, del resto, pone la necessità del concorso alle spese in relazione con la capacità contributiva personale, escludendo quindi a priori i redditi esenti: una diversa interpretazione comporterebbe pertanto effetti irragionevoli e contraddittori, oltreché in contrasto con il principio di «buon andamento» (articolo 97 della Costituzione).
Infatti, tanto i servizi erogati dai Comuni – come i CDD – quanto pensioni e indennità erogate dallo Stato concorrono nella realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali delineato dalla Legge 328/00, che a sensi dell’articolo 4 si avvale di un finanziamento plurimo cui partecipano – secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci – Stato, Regioni ed Enti locali.
Mentre sono a carico dei Comuni le spese di attivazione degli interventi e dei servizi sociali a favore della persona e della comunità, compete di contro allo Stato la spesa per pensioni, assegni e indennità, considerati a carico del comparto assistenziale: sarebbe quindi contraddittorio che il sistema integrato delineato dalla Legge 328/00 – a fronte di esigenze riabilitative ed educative tutelate dall’articolo 38, comma 3 della Costituzione, e assicurate attraverso i servizi SFA e CDD – sacrificasse il diritto al mantenimento garantito dall’articolo 38, comma 1 della Costituzione, e assicurato da pensione di invalidità e indennità di accompagnamento.
*Avvocato. Esperto in diritto e disabilità. Consulente dell’ANFFAS di Brescia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
Note:
(1) Espresso da TAR Milano, Sez. I, sentt. 24.3.2011 nn. 784 e 785, 8.2.2008 n. 291 e ord 16.4.2008 n. 602, Sez. III, sentt. 7.2.2011 n. 362, 5.8.2010 n. 3588, 20.5.2010 n. 1587, 1586, 1585, 1584, 1583, 1582 e 1581, sentt. 14.5.2010 n. 1488, 1487, 1486, 1485, 1483, 1482, ordd. 18.2.2011 n. 375, 9.9.2010 n. 987, 20.11.2009 n. 1328, 10.7.2009 n. 878, 12.6.2009 n. 739, 8.5.2009 nn. 582 e 581, 9.1.2009 n. 10, Sez. IV, ord. 3.7.2009 n. 856, sent. 10.9.2008 n. 4033; TAR Firenze, Sez. II, ordd. 20.2.2009 n. 156, 27.11.2008 n. 1101, 12.3.2008 n. 291, 17.1.2008 n. 43, Sez. III, sent. 17.11.2008 n. 2535, ord. 6.9.2007 n. 733; TAR Palermo, Sez. III, sent. 19.3.2009 n. 527, ord. 2.4.2008 n. 372; TAR Catania, Sez. IV, sent. 11.1.2007 n. 42; TAR Ancona, Sez. I, sent. 10.7.2008 n. 719, ord. 25.3.2010 n. 189 e 18.9.2007 n. 521; TAR Cagliari, Sez. I, sent. 24.10.2009 n. 1562; TAR Venezia, Sez. III, ord. 24.11.2009 n. 1040.

(2)
Espresso da TAR Brescia, sentt. 10.11.2010 n. 4576, 1.7.2010 n. 2242, 14.1.2010 n. 18, 2.4.2008 n. 350, ord. 8.1.2009 n. 34, 13.7.2009 n. 1470, ord. 8.1.2009 n. 34; TAR Venezia, Sez. III, sent. 17.3.2010 n. 830.

(3)
Espresso da TAR Firenze, Sez. II, sentt. 25.3.2010 n. 744, 3.3.2010 n. 588, 25.8.2009 n. 1409 e da Consiglio di Stato, Sez. III, parere 25.3.2009 n. 589.

(4) Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 12.5.2010 n. 2130 conf. TAR Milano, Sez. III, ord. 20.11.2009 n. 1328, Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 14.9.2009 n. 4582 conf. TAR Milano, Sez. III, ord. 8.5.2009 n. 581, Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 12.6.2009 n. 3065 conf. TAR Milano, Sez. III, ord. 9.1.2009 n. 10, Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 16.5.2008 n. 2594 conf. TAR Firenze, Sez. II, ord. 17.1.2008 n. 43.
(5) Consiglio di Stato, Sez. V, ord. 28.6.2010 n. 3001 rif. TAR Firenze, Sez. II, sent. 25.3.2010 n. 744, Consigilio di Stato, Sez. V, ord. 28.6.2010 n. 2997 rif. TAR Firenze, Sez. II, sent. 3.3.2010 n. 588.

(6)
Rifacendosi al pacifico orientamento espresso da: Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 20.5.2008 n. 2361, Sez. I, par. 28.2.2008 n. 213; TAR Milano, Sez. III, ord. 13.1.2011 n. 72 e sent. 19.3.2010 n. 703; TAR Brescia, decr. 15.11.2010 n. 808; TAR Venezia, Sez. III, sent. 24.4.2009 n. 1224; TAR Napoli, sent. 18.4.2007 n. 4737; Corte dei Conti, Lombardia, per. 18.2.2008 n.5.
(7) Corte Costituzionale, sentt. n. 233/2005, n. 467 e n. 329 del 2002, n. 167 del 1999, n. 215/1987.

Ultimo aggiornamento (Thursday 09 June 2011 12:05)